Opinione - 05 novembre 2021
Scritto da Bertrand Piccard 2 min lettura
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"In termini di adattamento ai cambiamenti climatici, è essenziale aumentare il livello di ambizione", si legge nel rapporto delle Nazioni Unite presentato mercoledì 3 novembre alla COP26.
Naturalmente, le misure di adattamento sono essenziali. Dobbiamo aiutare molti Paesi a far fronte agli effetti del riscaldamento globale: caldo e piogge estreme, siccità, mega-incendi, inondazioni, cataclismi. Si stima che un aumento di 1°C della temperatura degli oceani rappresenti già un aumento del 7% dell'evaporazione, il che significa un maggiore sviluppo dei tifoni. E questo non riguarda solo i Paesi lontani. Le nostre regioni temperate saranno infestate da malattie tropicali, invase da rifugiati climatici e la maggior parte delle grandi città del mondo dovrà proteggersi dall'innalzamento del livello del mare con muri di contenimento. La necessità di adattarsi a questo futuro minaccioso sembra quindi ovvia.
Ecco perché gli aiuti annuali di 100 miliardi di dollari - previsti dall'accordo di Parigi e ridiscussi quest'anno a Glasgow - devono assolutamente essere raccolti e distribuiti ai Paesi più vulnerabili per consentire loro di sopravvivere. E dovremo raddoppiare i nostri sforzi e aumentare questi aiuti, dice il rapporto dell'ONU, fino a 300 miliardi di dollari all'anno entro il 2030, poi a 500 miliardi entro il 2050. Questo è il prezzo dell'incoscienza con cui il mondo industrializzato ha ipotecato il futuro per un secolo.
Ma pianificare l'adattamento alle conseguenze del riscaldamento globale non deve farci dimenticare l'obiettivo essenziale: porre fine all'aumento incontrollato delle temperature. Dare la priorità all'adattamento rischia la paralisi, inviando un messaggio molto pericoloso, ovvero che la situazione è già persa. Non c'è niente di peggio che arrendersi troppo presto, facendo credere a tutti che non si possa fare più nulla. Infatti, concentrarsi sugli effetti del disastro senza cercare di evitarli porterà a un disastro ancora peggiore. Invece di fare tutto il possibile per non superare 1,5°C di aumento della temperatura, si rischia di doversi adattare a una curva crescente di 2°C, o addirittura 3°C o più.
Inoltre, non è perché i Paesi ricchi saranno in grado di finanziare misure di adattamento che la qualità della vita sarà accettabile lì. Siamo certamente in grado di sopravvivere in un ambiente ostile, sicuramente un giorno anche su Marte, ma vogliamo vivere sulla Terra in habitat pressurizzati e tute spaziali?
I risultati allarmanti di questa COP26 non devono indurre al fatalismo. Al contrario, devono rafforzare la nostra volontà collettiva e individuale di mettere in atto tutte le azioni che conosciamo e che permetteranno di salvare ciò che può ancora essere salvato. Dobbiamo continuare ad agire con forza. E in fretta. Soprattutto perché sappiamo come fare.
Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta su La Tribunee sul quotidiano svizzero Le Temps.Scritto da Bertrand Piccard su 05 novembre 2021